Il libro bianco sulla spesa pubblica, la crisi dello Stato e l'Emergenza

49. Il libro bianco sulla spesa pubblica

Le insufficienze del centrosinistra, la mancanza di una visione globale dei problemi del Paese, erano il principale oggetto dell'attenzione dei repubblicani. La stagione contrattuale del 1969, sull'onda delle agitazioni studentesche e dell'autunno caldo, fece saltare qualsiasi ipotesi di programmazione. La stabilità, ancora precaria, del sistema economico italiano, caratterizzato da una vasta fascia di disoccupazione, alla quale si aggiungerà pochi anni più tardi l'aumento dei costi energetici a seguito della crisi petrolifera, fu compromessa, e l'Italia si trovò in una condizione di crisi crescente che dal piano economico si spostò sempre più sul piano sociale e istituzionale. 

Il PRI intravvedendo tutti questi pericoli, richiamò l'attenzione delle forze politiche sulla necessità di considerare contemporaneamente i problemi dell'economia e i problemi dello Stato.

"Lo Stato - dirà La Malfa - non è per noi il meccanismo di potere che bisogna conquistare, ma è un'organizzazione a servizio dei cittadini, che si deve servire con umiltà e disinteresse, mettendolo al di sopra di qualsiasi ragione di parte, Nella concezione repubblicana lo Stato, come organizzazione di interessi collettivi, deve sovrastare, e noi non dobbiamo, in alcun caso, sovrastare lo Stato e le sue ragioni."

In questa linea il PRI si batte perchè leggi civili e moderne siano realizzate: la legge istitutiva del divorzio porta la firma del ministro della Giustizia, il repubblicano Oronzo Reale, e una legge, fondamentale per uno Stato moderno, come quella della riforma tributaria porta la firma del repubblicano Bruno Visentini.

In questa linea il PRI, partito storico delle autonomie, si astiene nel voto per l'istituzione delle Regioni, nel 1970, perchè queste non si inserivano in un quadro generale di riforma dell'assetto istituzionale, come dimostrava il rifiuto di accettare la proposta repubblicana di sopprimere, contestualmente al nascere delle Regioni, i Consigli Provinciali, limitati ormai nei poteri e nelle funzioni.

L'aggravamento della situazione economica spinge il PRI a chiedere la presentazione in Parlamento di un Libro bianco sulla spesa pubblica e, nel 1971, a denunciare la presenza di un sistema di strutture pubbliche costoso e inefficiente. "Quando un sistema di strutture pubbliche - dirà La Malfa alla Camera - diventa parassitario, il costo di questo parassitismo cade sulla classe operaia e sul sistema direttamente produttivo". Le condiozioni di crescente e inarrestabile crisi dell'intera economia italiana destano nei repubblicani la preoccupazione che l'Italia possa uscire dal novero dei Paesi Occidentali e "sprofondare nel Mediterraneo". Il problema principale diviene rapidamente quello della stessa sopravvivenza del nostro sistema.

 

50. La crisi dello Stato e l'emergenza

Alla metà degli anni '70, il disavanzo pubblico si allarga sempre di più, raggiungendo i 14mila miliardi di lire di deficit nel 1975 e i 25mila nel 1978, mentre l'inflazione cresce ad un tasso elevatissimo e il settore pubblico, dall'Eni, all'Iri, all'Egam, si trasforma in un pozzo di passività senza fondo che ingoia tra deviazioni e degenerazioni centinaia di miliardi di lire.

Il Paese è alla "Caporetto economica" come denuncia La Malfa, mentre si profila una Caporetto morale con la crisi delle stesse istituzioni e dei valori che sorreggono ogni convivenza sociale. 

Il 12 e 13 ottobre 1978 si tenne alla Camera dei Deputati il dibattito sull’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo: uno degli ultimi interventi prima della votazione fu quello di Ugo La Malfa. Fu il suo ultimo intervento parlamentare prima della scomparsa nel marzo dell’anno successivo, un intervento nel quale esprime compiutamente la sua visione dell’Europa ed il suo punto di vista sull’economia italiana, un intervento che insieme al discorso al XXXIII° Congresso del PRI celebrato nel giugno dello stesso anno, rappresenta il suo grande testamento politico.

Nella settimana precedente il dibattito alla Camera dei Deputati, l’Italia – con il sostegno del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, di larga parte della DC, del PCI e del PSI – sembrava orientata verso un rinvio dell’adesione allo SME. La forte determinazione con la quale Ugo La Malfa e il PRI, insieme ad una parte non maggioritaria della DC ma molto impegnata e combattiva facente capo all’on. Gerardo Bianco, si batterono per l’immediata adesione prevalse sull’orientamento per il rinvio e così la Camera dei Deputati, dopo un dibattito che vide protagonisti i maggiori esponenti politici dell’epoca, approvò l’adesione dell’Italia allo SME con 270 voti a favore, 228 contrari e 53 astenuti.

Questa vicenda conferma ancora una volta il peso e l’incidenza di una forza politica che pur di limitate dimensioni come è sempre stato di fatto il PRI, battendosi con molto coraggio e determinazione per gli interessi generali del Paese, riuscì in molte occasioni, fra cui questa, a risultare determinante nelle decisioni del Governo e del Parlamento.

Vale la pena ricordare che nelle elezioni politiche del 1976, le prime con il voto ai diciottenni, il PRI ottenne 3,09% alla Camera con 14 seggi e il 2.69% dei voti al Senato con soli 6 seggi cui aggiungere un seggio di una lista PSDI-PRI-PLI presentata in Liguria.

Dieci anni dopo, nel 1988, Beniamino Andreatta (DC) parlando ad un Convegno presso il Ministero degli Esteri a proposito dello SME affermò: “Questa la valutazione e l’insieme delle motivazioni che nei sostenitori più radicali, negli uominiche trovarono in Ugo La Malfa il personaggio più rappresentativo – che presero parte ad una specie di congiura per contrapporsi alle tendenze, che sembravano maggioritarie, per un’attesa, per un rinvio”. Un riconoscimento, si direbbe a “denti stretti”, del ruolo che il PRI ebbe in quella occasione. Non si trattò in alcun modo di una congiura, ma semplicemente della ferma dichiarazione che se il Governo avesse mantenuto il proposito dichiarato al rientro dal Consiglio Europeo di rinviare l’adesione italiana, il PRI si sarebbe ritirato dalla maggioranza. Evidentemente la DC valutò che sarebbe stata insostenibile una posizione antieuropea sostenuta dal PCI e contrastata dal PRI.

La ricostruzione delle vicende di quei giorni nei quali maturò l’improvviso cambio di posizione del Presidente del Consiglio Andreotti è stata offerta da Giorgio La Malfa in un convegno tenuto presso la Biblioteca della Camera dei Deputati il 26 marzo 2019 su “Ugo La Malfa e l’Europa. Il dibattito parlamentare sulla partecipazione dell’Italia allo SME” in occasione del 40° anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa.

 

51. Il Sistema Monetario Europeo - SME

Ma cosa era il Sistema Monetario Europeo e quale era il contesto in cui si collocava in quell’autunno 1978 la decisione di aderirvi o meno?

Il SME - Sistema Monetario Europeo fu un accordo in forza del quale i Paesi della Comunità Economica Europea (CEE) si impegnavano a mantenere un tasso di cambio fisso fra la propria valuta e quelle degli altri Paesi aderenti, consentendosi soltanto un modesto margine di oscillazione del 2,5% verso l’alto e verso il basso prima che intervenisse l’obbligo da parte della Banca Centrale del Paese in questione di intervenire con acquisti o vendite della propria valuta al fine di mantenerla entro il previsto limite di oscillazione.

Quando, dopo le vicende di cui si parla, l’Italia aderì, le venne attribuito un margine di oscillazione più ampio, pari al 6%, poi assegnato anche ad altri Paesi. Nel 1993 il margine fu elevato per tutti al 15%.

Il Sistema Monetario Europeo nacque per creare una zona di stabilità monetaria in Europa in un periodo, come quello degli anni settanta, contraddistinto da alta inflazione e grande instabilità dei cambi.

Esso faceva seguito ad un precedente accordo – che fu definito “serpente monetario” - fra le banche centrali dei Paesi CEE, a sua volta nato all’indomani della crisi del sistema di cambi fissi iniziata nell’agosto 1971 con la dichiarazione unilaterale americana circa la non convertibilità del dollaro in oro su cui si fondava il regime di Bretton Woods.

Il “serpente monetario” si rivelò un accordo fragilissimo che venne travolto rapidamente dalla speculazione sui cambi. Proprio alla luce di questo fallimento, ma nella convinzione che fosse indispensabile assicurare un regime di cambi fissi fra i paesi europei impegnati nella costruzione di un grande mercato interno comune, Francia e Germania pensarono di fare un passo in avanti proponendo la creazione di un sistema basato non su un semplice accordo fra le banche centrali, ma su un accordo fra i Governi dei Paesi CEE. Lo SME, fortemente voluto dal Presidente francese Valery Giscard d’Estaing e dal Cancelliere tedesco Helmut Schmidt, fu sottoscritto dai Paesi all’epoca aderenti alla Comunità Economica EuropeaCEE con l’eccezione della Gran Bretagna che vi aderì nel 1990. Esso entrò in vigore il 13 marzo 1979 e rimase in essere sino al 31 dicembre 1998 quando, con l’inizio della terza ed ultima fase dell’Unione Monetaria Europea, vennero adottati tassi di cambio irrevocabili fra le valute dei Paesi partecipanti.

La parità di cambio fra le varie monete venne fissata negli Accordi Europei di Cambio. Si stabilì peraltro che essa potesse essere modificata con l’accordo di tutti i paesi. I tassi di cambio delle singole monete potevano oscillare rispetto al cambio prefissato in più/in meno del 2,5%, del 6% per Italia, Gran Bretagna ma anche poi per Spagna e Portogallo entrate successivamente nella CEE.

Fu istituita una unità di conto ECU (European Currency Unit) sulla base del valore medio dei cambi del paniere e nel caso di eccessiva svalutazione/rivalutazione delle singole monete, i relativi governi dovevano intervenire con politiche monetarie interne per far rientrare le proprie monete nella banda di oscillazione, inoltre ogni Paese doveva conferire ad un fondo comune il 20% delle proprie riserve in oro ed in valuta.

Si costituiva così un “vincolo esterno” cui dovevano attenersi tutti i Paesi aderenti nelle politiche interne a fronte di una stabilità dei cambi.

Nel 1992, in seguito alle forti turbolenze monetarie, Gran Bretagna e Italia uscirono dal SME, ma mentre il primo Paese rientrò nel SME nel 1994, l’Italia vi rientrò nel 1996.

Il sistema fu rivisto nel 1993 con l’innalzamento della banda di oscillazione al 15% e nel frattempo con il Trattato di Maastricht del 1992, era iniziato il cammino verso la moneta unica.

 

52. Il contesto economico e sociale dell’Italia alla vigilia dell’adesione al SME

in "continua 1978"

 

Dal minuto 4'38" intervento di Ugo La Malfa - invito al voto agli italiani nel 1972

Dal minuto 4'38" intervento di Ugo La Malfa - invito al voto agli italiani nel 1972